22 gennaio 2019

Arlo Bigazzi – Il suono del flauto di vertebre [intervista a cura di Mirco Salvadori]


Arlo Bigazzi – Il suono del flauto di vertebre

L’intervista integrale realizzata da Mirco Salvadori
e pubblicata originariamente sul n° 448 di Rockerilla, dicembre 2017 - www.rockerilla.com




Memoria! Raduna nella sala del cervello
le schiere inesauribili delle amate.
Da un occhio all'altro effondi il sorriso.
D'antiche nozze travesti la notte.
Di corpo in corpo effondete la gioia. nessuno dimentichi una simile notte.
Oggi io suonerò il flauto sulla mia colonna vertebrale. - vm -


Arlo Bigazzi e due date, il 1976 che indica l'inizio del tuo percorso artistico e il 2017, l'anno che ospita la nostra chiaccherata. Nel mezzo è successo di tutto e di più. Riusciresti a descrivere i momenti più intensi della tua carriera?

Il periodo più entusiasmante è stato tra il ’77 e il 2001. Anni d’incoscienza, di entusiasmo, un bel turbinìo di persone e d’idee. La voglia di confrontarsi. Poi, senza consapevolezza, è iniziato il declino culturale. Però ho avuto l’opportunità di frequentare artisti come Embryo, Tuxedomoon, i “nonni” dell’ambient music. Le esperienze con Keen-O, Alabastro Euforico, Banda Improvvisa, Carlo Monni, Alessandro Benvenuti. Sono diventati troppi gli episodi intensi.


Per tutti noi, anziani fruitori di suoni altri, la Materiali Sonori ha sempre rappresentato un punto fermo. Quando si parla di musica indipendente in Italia si pensa a San Giovanni Valdarno. Che esperienza è stata e cosa ancora rappresenta per voi fondatori questa etichetta discografica?

Essere indipendenti fu una scelta di vita, artistica, politica e anche economica. L’abbiamo pagata tutta. Nel bene e nel male. Le Major rappresentano il Sistema e noi eravamo contro il Sistema. Di rado siamo scesi a compromessi. Non avevamo l’indole. Mi stupisco e m’imbarazzo quando qualcuno mi racconta di aver comprato i nostri dischi o che Materiali Sonori abbia influito sui suoi gusti musicali e magari ricorda nomi, date, dischi, concerti. Mi guardo poco indietro, non mi piace questo immobilismo nostalgico in cui siamo finiti e continuo a pensare che il Sistema debba essere, se non abbattuto, almeno contrastato.

Veniamo ai giorni nostri, Bigazzi/Majakovskij un bel duo non c'è che dire. Come è nata l'idea di uno spettacolo dedicato al poeta russo e che sorta di interpretazione fornite dei suoi testi?

Con Chiara Cappelli, l’attrice che interpreta il testo, pensavamo a qualcosa da fare insieme. Majakovskij era un mio amore giovanile, Chiara l’aveva studiato all’università. Parlandone ci siamo trovati d’accordo che il suo essere rivoluzionario fosse principalmente dato da quella ribellione che è innata nella gioventù. Il mondo non potrebbe progredire senza quella spinta e con Chiara, che ha curato le traduzioni mentre io mi sono occupato della biografia, abbiamo cercato di raccontarlo e farlo parlare con il linguaggio dell’oggi, più che provare a mantenere la struttura poetica originale.


"Majakovskij! Il futuro viene dal vecchio ma ha il respiro di un ragazzo". Chi ti aiuta in questa avventura e come è strutturata?

Oltre a Chiara e Lorenzo Tommasini, che mi ha aiutato negli arrangiamenti, ci sono Francesco Frank Cusumano, alla chitarra, e Lorenzo Boscucci per la parte elettronica. Saltuariamente collabora anche il trombettista Mirio Cosottini. Il progetto mi piace definirlo “multiforme”, perché va oltre gli spettacoli. Nel progetto discografico hanno poi partecipato musicisti di varia estrazione, come Mirko Guerrini, Michele Marini, Blaine L. Reininger e Guido Guglielminetti. Abbiamo realizzato dei video con il sostegno di giovani cineasti, liberi di dare la loro personale interpretazione. Poi abbiamo altre idee, ma per ora sono nel cassetto.

Mi par di capire che avete voluto lasciare in secondo piano il pensiero politico majakovskijano privilegiando il suo aspetto più intimista, anche se comunque irriducibile. Spiegaci.

Abbiamo tralasciato il “vate della Rivoluzione”, che ritengo sia il Majakovskij meno interessante e anche il più manipolato, raccontando solo l’entusiasmo degli anni della gioventù. Ci piace pensare che dopo due giorni dallo scoppio della Rivoluzione si fosse già annoiato e stesse andando oltre, a inseguirne di nuove.

Com'è la risposta del pubblico?

Rimane sorpreso. Oltre a un Majakovskij piuttosto inedito, proponiamo un continuo tra musica, racconto e poesia. Lo abbiamo replicato nei posti più diversi: dalla piazza al pub, dal teatrino alla libreria. Persino sotto un leccio, praticamente al buio: è andata bene anche in quel caso. Al termine si era formato un capannello di persone che riempivano Chiara di domande impedendole di salire in auto.

Avete già delle date future per i vostri spettacoli?

Veniamo da una decina di repliche e abbiamo qualcosa per il prossimo anno ma niente di definito. È difficile fare concerti. La situazione è problematica. I luoghi ci sarebbero ma le condizioni economiche sono spesso imbarazzanti. Però non disperiamo: occuperemo il tempo per registrare i brani, poi vedremo cosa farne, anche se il cd non è un’urgenza.


Ultima domanda che esula dal contesto. Arlo Bigazzi, una vita nel suono indipendente, come la vedi la situazione odierna?

Mi sembra che qualcosa d’interessante ci sia, ma sommerso e disgregato. Le innovazioni tecnologiche e il controllo sulla cultura giovanile hanno sconvolto molto. Manca un movimento d’idee che crei comunità e senso di condivisone. I giovani sono costretti a inseguire la cultura dei talent o le mortificazioni nei pub, dove devono portarsi il pubblico da casa; noi ex-giovani offriamo spesso le solite minestre e non siamo riusciti ad affermare la musica come lavoro. Si naviga tutti a vista ma non vediamo approdi, né li sappiamo immagina

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